Nel momento in cui scriviamo questi appunti, appare evidente che non vi è alcuna corrispondenza per dimensioni fra la gravità della situazione sociale e la pesantezza dell’attacco padronale-governativo da una parte e la mobilitazione della nostra classe dall’altra.
Lo stato di guerra che, di fatto, segue la crisi pandemica, la crisi politica che ha determinato la vittoria elettorale delle destre e il prossimo insediamento di un nuovo governo che segna una discontinuità simbolica importante del quadro politico, concorrono a determinare la relativa passività della grande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori.
D’altro canto le tensioni sociali immediatamente percepite o potenziali attraversano la società in forme, per molti versi, nuove, dall’inflazione formalmente al 9% e in realtà al 15% per i redditi medio-bassi, alla moria di piccole-medie aziende in sofferenza con i conseguenti fallimenti e licenziamenti.
Nelle scorse settimane questa situazione ha determinato lo svilupparsi della mobilitazione dei cosiddetti teleriscaldati, que* cittadin* (visto che non si tratta di questioni che riguardano solo i/le lavoratori/lavoratrici e i/le pensionati/e) che stanno subendo, ma non sono i/le soli/e, un aumento secco del prezzo delle bollette. Si tratta di una mobilitazione importante che caratterizza in maniera particolare i grandi quartieri delle periferie urbane dove si addensano molte migliaia di persone direttamente coinvolte.
La questione dei prezzi si intreccia immediatamente con quella del salario, ovvero di un salario medio che negli ultimi decenni, nei casi migliori, è fermo nei peggiori, in larga misura, è in caduta libera vista la crescita del lavoro precario dei lavoratori e delle lavoratrici pover*.
È un segnale importante che va colto nella prospettiva di una mobilitazione generale sull’assieme delle questioni che riguardano la nostra classe, una mobilitazione che ha, basta pensare alla situazione francese ma non solo, un carattere immediatamente internazionale.
Dal punto di vista dell’iniziativa soggettiva questo quadro generale ha favorito un processo, assolutamente positivo, di unità d’azione dell’area del sindacalismo di base che, per la prima volta da diverso tempo, è arrivato a concordare uno sciopero generale per il 2 dicembre di quest’anno. È un passaggio politico importante che non va sottovalutato e che va colto in tutte le sue potenzialità. Si tratta ora di andare oltre questo risultato costruendo un percorso tale da allargare la mobilitazione e, soprattutto, da intrecciare la scadenza del 2 dicembre con iniziative di lotta e di agitazione adeguate alle necessità.
Di particolare importanza appare la piena comprensione della natura reale e profonda del rapporto che si sta costruendo con settori di movimento non immediatamente riconducibili al sindacalismo di base e conflittuale.
Dobbiamo avere chiaro che non si tratta di una somma meccanica fra sindacalismo di base e movimenti sociali. I vari soggetti (i movimenti ambientalisti, delle donne, degli/delle studenti/esse, dei/delle cittadini/e) articolano le proprie contestazioni al carovita, all’alternanza scuola-lavoro, all’immobilismo di fronte alla crisi climatica, al problema abitativo, alle sempre più ingenti spese militari, e il sindacalismo di base è soggetto attivo in questa dialettica tra lotta per il salario e rivendicazione di una vita degna di essere vissuta.
Se oggi c’è una relazione fra settori del sindacalismo di base con il movimento delle donne è perchè le giovani generazioni che animano Non Una di Meno e non solo, hanno colto con chiarezza il nesso forte fra liberazione delle donne e questione sociale, non lo hanno “imparato” da altri/e ma dalla loro esperienza e attraverso questa esperienza. Lo stesso vale per i movimenti ambientalisti radicali pienamente consapevoli che l’ambientalismo senza lotta di classe si riduce a giardinaggio. Un segnale forte della maturità di questo processo viene dalla manifestazione del 22 ottobre organizzata dal Collettivo di fabbrica GKN assieme ai movimenti ambientalisti, tra i quali Fridays for Future.
La crisi sociale che viviamo e che sta colpendo, oltre alle lavoratrici ed ai lavoratori salariati, vasta parte del lavoro autonomo e che ne suscita la mobilitazione, è una diretta conseguenza della proletarizzazione di ampi settori sociali.
Non dobbiamo guardare a questa risposta con chiusura e con sospetto, ma con la consapevolezza che la riduzione alla condizione proletaria è vissuta come una violenza e che dobbiamo saper parlare e, soprattutto, saper ascoltare chi la vive. Dobbiamo, di conseguenza, costruire un’azione comune fra il proletariato “tradizionale” e i/le nuov* proletarizzat* a partire dalle questioni immediate che tutti/e viviamo.
Sarebbe un errore capitale lasciare spazio al populismo reazionario oggi ampiamente diffuso. Sta a noi, principalmente a noi, cogliere le occasioni che si aprono per dare loro uno sbocco radicale e di classe.
Un’altra questione che non va sottovalutata è il fatto che la passività del sindacalismo istituzionale e la subalternità dell’opposizione parlamentare suscitano fra i/le lavoratori/lavoratrici che fanno riferimento a queste organizzazioni un crescente malessere e che è necessario coinvolgerli/e nella mobilitazione su contenuti che ampiamente già condividono. Ogni settarismo e ogni chiusura autoreferenziale ci condurrebbe alla sconfitta. La stessa considerazione vale per le mobilitazioni in difesa delle libertà: va evitata l’opposizione, caratteristica della cultura vetero-comunista, fra lotta per il salario e lotta per un’emancipazione generale.
Per concludere, questo percorso lo dobbiamo vivere e costruire nella piena consapevolezza che la capacità di relazione, di azione, di confronto significa che non ci poniamo come un’avanguardia gelosa delle sue “certezze”, ma come un soggetto plurale che nell’agire impara, si modifica, si arricchisce, si pone all’altezza della partita che sta giocando e che la vera importanza della giornata di sciopero del 2 dicembre si coglierà a pieno nel percorso che la prepara e nelle dinamiche che aprirà per il futuro.
Cosimo Scarinzi